La vita reale sta assumendo le sembianze di un film catastrofico, siamo ancora in tempo per fermarci e dire basta? Abbiamo il tempo necessario per cambiare, per migliorare, per capire?
Si parla tanto di cambiamenti climatici, emissioni di gas serra, scioglimento dei ghiacci, ma tutto questo nel concreto cosa significa?
Quali sono gli effetti reali e visibili che possiamo osservare, studiare e comprendere per poi agire?
Oggi in questo video/articolo vedremo come il cambiamento climatico sta modificando la distribuzione di un animale simbolo di molte nazioni del nord, l’alce.
Leggi l’articolo o guarda il video:
https://www.youtube.com/watch?v=i1hdxxR_04E
Ecologia dell’alce
Il più grande tra i cervidi, l’alce è il simbolo della Taiga, uno dei principali biomi terrestri formato da foreste di conifere che ricoprono quasi totalmente le regioni sub-artiche boreali dell’Eurasia e dell’America.
Si distingue dalle altre specie di cervidi oltre che per la sua mole, anche per la forma caratteristica dei suoi palchi, chiamate da molti erroneamente corna.
Si distingue dagli altri cervidi non solo per le sue notevoli dimensioni, ma anche per il suo caratteristico muso lungo e carnoso e per l’aspetto goffo e tozzo. Grazie alle sue notevoli dimensioni, da adulto non ha particolari nemici naturali fatta eccezione per il lupo e per l’uomo.
Simbolo delle immense foreste canadesi e dei paesaggi innevati della Scandinavia, l’alce ha un indole mite e solitaria, tuttavia diventa aggressivo quando deve difendersi o contendere il territorio con altri esemplari.
Le alci sono animali grandi e potenti, possono arrivare a pesare fino a 680 chilogrammi. Gli alci non temono gli umani e non hanno problemi ad attaccare se si sentono minacciati, soprattutto in presenza di cuccioli. Grazie al folto mantello e ad un massiccio strato di grasso, riescono a vivere anche a temperature molto rigide.
Un tempo le alci vivevano addirittura anche sulle Alpi, tuttavia a seguito della caccia incontrollata e della distruzione delle foreste, si sono estinte localmente.
L’alce e i cambiamenti climatici
Le alci prospereranno o moriranno a causa del cambiamento climatico? Grazie allo studio della distribuzione di questa specie, possiamo approfondire molti aspetti e conseguenze del cambiamento climatico.
Diversi esperti infatti stanno osservando come una varietà di fattori di stress climatico – tra cui temperature medie annuali più elevate, una lunga serie di inverni molto miti e condizioni sempre più favorevoli per zecche, parassiti e altre specie invasive – stanno minacciando la sopravvivenza degli alci nelle zone più meridionali del loro habitat.
L’alce ha bisogno di ampie foreste formate da abeti, pini, betulle e altri alberi tipici delle foreste di conifere che forniscono copertura e riparo contro condizioni meteorologiche avverse e ovviamente una buona fonte di cibo.
A causa del corto collo, l’alce non pascola, ma si ciba principalmente di germogli e foglie di salice e betulla, nonché di diverse piante acquatiche.
Non a caso questi ruminanti si trovano spesso a cibarsi nelle terre umide delle aree temperate dove è più facile avvistarli.
L’alce vive in tutto l’emisfero nord del pianeta, dalle foreste di conifere canadesi e americane, passando per la Scandinavia e tutto il nord della Russia fino alla fredda Siberia.
La sua esistenza dipende esclusivamente dalle ampie distese di foreste di conifere fonte di cibo e riparo.
Inverni sempre più miti oltre ad alterare la biodiversità vegetale, aumentano la presenza di parassiti molto pericolosi per l’alce. Questo provoca una migrazione verso nord, verso l’Artico che a sua volta si sta riscaldando.
Questa avanzata verso nord delle popolazioni di alce, inevitabilmente porta modificazioni importanti per l’equilibrio dell’ecosistema artico.
Gli studi sulla migrazione dell’alce
Diverse ricerche effettuate negli Stati Uniti evidenziano un aumento considerevole della mortalità dei giovani alci. Gli scienziati ipotizzano che gli alci giovani e adulti siano afflitti allo stesso modo da nuove malattie e parassiti. Nel Maine, negli Usa, almeno il 50 per cento dei giovani non vive abbastanza per vedere il loro secondo anno, mentre nel Minnesota nord-orientale quel numero raggiunge il 90 percento.
Queste drammatiche morie che avvengono nella parte meridionale dell’habitat, sono in parte compensati dai segnali positivi a nord. Qui infatti il riscaldamento climatico permette la crescita di nuove foreste a nord, a discapito ovviamente dei ghiacci e della Tundra.
Una nuova ricerca, pubblicata su PLoS ONE, mostra come l’aumento delle temperature e gli inverni più brevi in Alaska hanno aiutato le alci a conquistare vasti nuovi tratti di territorio.
Il cibo per gli animali in cerca di cibo sta crescendo rapidamente, introducendoli nella tundra precedentemente rigida. La migrazione probabilmente non riguarda solamente l’Alaska, ma anche il Canada e la Russia settentrionale.
Se le alci dimostrano una capacità di adattamento al nuovo clima che avanza, lo stesso non si può dire per tutte quelle specie artiche che non avranno nessuna zona ancora più a nord in cui spostarsi.
Orsi polari, volpi artiche, lupi artici, renne, questi grandi mammiferi forse non sapranno adattarsi ai cambiamenti e rischiamo di perderli per sempre.
Per gli esperti non è un segreto dello spostamento costante verso nord delle alci, i nativi dell’Alaska ad esempio hanno un record storico delle date esatte in cui gli alci sono apparsi per la prima volta in ogni villaggio. Quello che divide i ricercatori sono i motivi reali di questo spostamento.
Il motivo di questa massiccia migrazione è stato oggetto di accesi dibattiti scientifici, tuttavia dalle evidenze sembrerebbe che non ci siano altre ragioni diverse dal cambiamento climatico.
Insieme alla distribuzione delle alci infatti si studiano i cambiamenti della distribuzione della vegetazione nell’Artico in fase di riscaldamento, aumentando il numero di piante un tempo presenti solamente in zone più meridionali.
Le alci sono dei grandi erbivori che hanno la necessità di nutrirsi degli arbusti e germogli che spuntano sopra la neve, i ricercatori ipotizzano che questo habitat si stia lentamente estendendo verso nord. E’ chiaro che temperature più elevate e estati più lunghe consentono agli arbusti di crescere più alti, permettendo quindi la presenza di alci.
Gli esperti suggeriscono che la migrazione delle alci, principalmente lungo fiumi e torrenti che scorrono nell’Oceano Artico per centinaia di chilometri, potrebbe essere uno dei più drammatici spostamenti della fauna selvatica legati al cambiamento climatico.
Quindi tutti contenti, le alci vanno a nord e sopravvivono ai cambiamenti climatici, ma siamo sicuri che questo sia un aspetto positivo?
I problemi ecologici della migrazione
Le evidenze attuali dimostrano che con tutta probabilità l’alce sarà una delle specie vincitrici contro l’estinzione causata dai cambiamenti climatici, tuttavia questo spostamento verso nord provoca inevitabili conseguenze ambientali. L’arrivo dell’alce infatti è vista come un’invasione dell’habitat delle specie artiche della Tundra come ad esempio le renne.
La preoccupazione è che le specie artiche dovranno affrontare molta concorrenza da parte delle specie boreali meglio adattate come l’alce che si spostano e condividono quell’habitat. In un certo senso, le alci sono ora diventate una specie invasiva e questa tendenza è destinata ad aumentare.
Lo scenario che potrebbe verificarsi a nord con le specie artiche è quello che avvenendo proprio ora alle alci nelle regioni meridionali. Qui le alci muoiono a ritmi allarmanti perché nuove specie, come il cervo dalla coda bianca, spostandosi a loro volta verso nord, portano nuove malattie come il verme cerebrale e le zecche invernali.
Praticamente sta avvenendo una specie di domino, le diverse specie avanzano verso nord portando nuovi problemi via via sempre più in alto.
I cervi avanzano verso nord a discapito delle alci, le alci fanno lo stesso a loro volta a discapito delle renne, arriveremo ad un punto che alcune specie, specialmente quelle artiche, non avranno altra via che l’estinzione.