Perché parlare di cibo?
Ma ovviamente perché ci stiamo mangiando il mondo….
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La terra ha 4,5 miliardi di anni di età, in questo lungo periodo ha attraversato epoche geologiche incredibili caratterizzate da enormi cambiamenti che hanno dato vita ad una biodiversità straordinaria.
Un’esplosione di vita capace di colonizzare tutti gli habitat possibili e immaginabili, spesso contrastanti tra loro, ma ognuno con caratteristiche eccezionali.
Tutto era iniziato per il meglio, ma come sempre accade, tutte le cose belle hanno una data di scadenza.
In soli 70 anni l’essere umano è riuscito a rompere i sottili equilibri creati nei milioni di anni, con la nostra arroganza ci crediamo padroni di un mondo che non possiamo affatto controllare.
Cibo, energia, acqua, questi sono le 3 componenti chiave prese in esame dall’ONU per definire lo sviluppo sostenibile.
E con una popolazione in costante crescita, la richiesta di queste 3 cose aumenta inesorabilmente.
Qui sul canale di Keep the Planet parlo spesso di alimentazione sostenibile, e oggi voglio analizzare brevemente l‘impatto ambientale di alcuni cibi molto consumati.
L’impatto ambientale di 7 alimenti popolari
Premessa, tra tutti i cibi disponibili, la carne rossa è quella che ha il maggior impatto sull’ambiente, ma ho deciso di non parlarne nuovamente perché ho dedicato alcuni video specifici.
Quindi iniziamo la rassegna con la seconda categoria, qual è?
Ma ovviamente i latticini.
Noi italiani li conosciamo molto bene i latticini, grana padano, parmigiano, mozzarella, burrata.
Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?”, si domandava con ironia Charles De Gaulle, l’ormai defunto presidente francese.
Noi italiani lo sappiamo bene come si governa un paese con tanti formaggi diversi tra loro, non a caso, non me ne vogliano i francesi, in Italia abbiamo ben 487 diverse tipologie di formaggio, tra cui 48 di origine protetta.
Un’industria del latte che ahimé ha il suo impatto sia sull’ambiente, sia sul benessere animale.
800 milioni di tonnellate di latte vengono prodotte a livello internazionale ogni anno, più del doppio rispetto a soli 50 anni fa.
Circa la metà di questa produzione è destinata alla realizzazione di formaggi.
L’impatto ambientale della produzione di latticini è un argomento piuttosto vasto e comprende diversi fattori quali il consumo di suolo, il consumo idrico, la produzione di rifiuti e le emissioni di gas serra.
Dopo la mozzarella di bufala o un bel pezzo di parmigiano reggiano, qual è l’abitudine a cui noi italiani non riusciamo proprio a rinunciare?
Ma una bella tazza di caffè.
E’ mattina, dopo una notte ristoratrice, è il momento di svegliarsi, aprire gli occhi e la mente verso un mondo fatto di lavoro, impegni, obblighi, la carica può darcela solo il nostro caro amico caffè.
Globalmente consumiamo consumano circa 2,25 miliardi di tazzine ogni giorno. Sono un sacco di chicchi di caffè, e quei chicchi devono venire da qualche parte.
Il chicco di caffè ovviamente non nasce così come per magia, ma è il seme di un albero che produce dei frutti simili a delle bacche, qui gli agricoltori separeranno il seme cioè il chicco, dalla polpa.
Storicamente l’albero del caffè veniva piantato insieme ad altre specie di alberi creando un ecosistema forestale sostenibile, tuttavia negli ultimi anni visto l’incredibile aumento della domanda, i produttori hanno realizzato monocolture di una singola specie che come al solito provoca deforestazione e utilizzo massivo di pesticidi.
Mozzarelle, caffè, come se tutto questo non bastasse, anche la cioccolata inquina.
Ok, lo so, ora è ufficiale, mi odiate perché non faccio altro che distruggere i migliori cibi che abbiamo, ma la verità ahimé va raccontata.
A livello globale consumiamo oltre 7,7 milioni di tonnellate all’anno di cioccolato. I produttori di cioccolato contribuiscono al cambiamento climatico sia acquistando semi di cacao da regioni in cui le coltivazioni prendono il posto delle ultime foreste, sia con tutti i prodotti che vengono aggiunti per ottenere il prodotto finale come olio di palma, latte e zucchero.
I semi di cacao vengono raccolti dalla Theobroma cacao, un albero originario del Sud America.
I principali produttori ed esportatori di semi di cacao sono la Costa d’Avorio, il Ghana, l’Indonesia, la Nigeria, l’Ecuador e il Brasile, nelle zone vicino l’equatore.
Grazie ad un’inchiesta realizzata dall’ONG Mighty earth e denominata Chocolate dark secret, si è svelato il lato oscuro di questa industria fatta di deforestazione illegale, inquinamento e sfruttamento della manodopera.
Dalle foreste passiamo al mare, è giunto il momento di parlare di salmoni.
I salmoni sono un genere di pesci un tempo abbondanti in tutto l’emisfero nord del pianeta, dall’Alaska alla Norvegia.
Nel corso dei secoli, visto l’enorme interesse commerciale nella pesca di queste specie, tutti gli stock ittici vennero sovrasfruttati. Per continuare ad alimentare la crescente domanda, nel corso degli ultimi decenni si sviluppò l’industria dell’acquacoltura.
In linea generale, allevare pesci in maniera sostenibile rappresenta un’azione necessaria per garantire la sicurezza alimentare del mondo.
Così come sulla terraferma ci siamo trasformati da cacciatori ad allevatori, questo presto o tardi accadrà anche in mare. Tuttavia, ci sono diversi problemi da affrontare quando parliamo non solo di salmoni, ma di pesci di allevamento in generale.
Allevare salmoni oggi significa spesso e volentieri racchiudere in piccole gabbie grandi numeri di animali, pesci che devono essere alimentati con mangimi composti generalmente da altri pesci derivanti dalla pesca.
L’alta densità crea inoltre malattie e infezioni che vengono trattate con farmaci che si disperdono in mare. Queste gabbie generano inoltre grandi quantità di feci che vanno a danneggiare l’ecosistema circostante.
Da biologo marino con una tesi proprio in acquacoltura non posso ignorare questa enorme industria nascente, tuttavia ci sono ancora moltissimi passi da fare per garantire una piena sostenibilità.
Rimaniamo sempre in ambito marino per parlare di un altro cibo molto diffuso, ma che purtroppo impatta pesantemente sugli habitat naturali.
I gamberi sono un gruppo di crostacei molto utilizzati in cucina da miliardi di persone, dall’Asia al Sudamerica, per passare dall’Europa, i gamberi sono un alimento presente pressoché ovunque.
Tra le tante specie di gamberi esistenti, possiamo dividerli in 2 gruppi, i gamberi selvatici pescati e i gamberi di allevamento.
Entrambi i prodotti provocano seri impatti sull’ambiente. Per quanto riguarda i gamberi pescati, questi per essere catturati si deve praticare la pesca a strascico che cattura anche tantissimi altre specie tra cui anche delfini, tartarughe e squali, mentre i gamberi di allevamento provocano inquinamento di farmaci, zone costiere morte e deforestazione di mangrovie.
Come sempre accade, il problema è rappresentato dall’enorme richiesta mondiale che questi prodotti hanno.
Tutti vogliono mangiare gamberi e ne vogliamo sempre di più.
Per par condicio, ora tocchiamo un prodotto vegetale, anch’esso molto amato dal grande pubblico.
Fino a pochi anni fa praticamente sconosciuto in Italia, l’avocado è entrato nelle cucine di milioni di italiani per via della sue proprietà nutritive e per la sua versatilità.
Avocado buono, anzi buonissimo, ma purtroppo la sua grande richiesta a livello internazionale sta provocando una vera e propria guerra in centro e sudamerica.
Qui le coltivazioni di avocado vengono controllate a vista da guardie armate e sono al centro di grandi interessi criminali. Le coltivazioni inoltre recano un grande danno all’ambiente in quanto queste crescono a discapito delle foreste e richiedono grandi quantità d’acqua.
Se non lo hai visto ti consiglio di approfondire il tema guardando il documentario Rotten che ha dedicato un episodio sulla questione.
La cosa che fa arrabbiare è che la quasi totalità degli avocado in vendita in Italia arrivano dai paesi tropicali, mentre è quasi impossibile trovare quelli provenienti ad esempio dall’Andalusia o dalle Canarie.
Ovviamente, il problema è il dio denaro.
L’ultimo prodotto di questa lista dei prodotti inquinati è il classico esempio di come il vero problema da affrontare quando parliamo di alimentazione sostenibile è la crescente domanda a livello globale
La quinoa è una pianta originaria del Sudamerica, specialmente nelle regioni andine di Bolivia, Ecuador e Perù.
Storicamente prodotto in maniera sostenibile e utilizzato dalle popolazioni locali in perfetta armonia con l’ambiente circostante, negli ultimi anni è stato ahimè inserito nella lista dei superfood sempre più richiesti dai mercati globali.
La quinoa è infatti un cibo incredibilmente sano privo di glutine e contenente tutti gli aminoacidi essenziali, oligoelementi e vitamine. Questo ha ovviamente fatto esplodere la sua domanda generando seri problemi ambientali e sociali.
La quinoa veniva tradizionalmente piantata utilizzando la rotazione delle colture, ma il forte aumento della sua domanda ha portato gli agricoltori a favorire monocolture intensive e macchinari pesanti, aumentando l’erosione e il degrado del suolo.
La coltivazione della quinoa ha preso il sopravvento sui pascoli precedentemente occupati da lama e alpaca che fertilizzavano naturalmente il terreno. L’uso di macchinari pesanti ha inoltre favorito la crescita di parassiti e l’inevitabile uso sempre maggiore di pesticidi.
Non solo problemi ambientali, ma anche sociali in quanto la crescita della domanda ha anche provocato l’aumento dei prezzi impedendo alle popolazioni locali di poter acquistare la quinoa impoverendo di conseguenza la loro dieta.
Siamo arrivati alla fine di questo elenco, che ovviamente rappresenta solo la punta dell’iceberg del problema.
Se vogliamo trarre una conclusione generale, posso dire che il miglior modo per ridurre il proprio impatto a tavola è quello di affidarsi a prodotti locali della nostra terra, quando possibile acquistare direttamente dal produttore e seguire una dieta prevalentemente vegana di stagione.