La conservazione ambientale ha bisogno di persone appassionate del proprio lavoro che ogni giorno decidono di impegnarsi attivamente e in prima persona.
Tra le varie strade che una persona può percorrere, certamente quella dell’apertura di un’associazione ambientalista rappresenta un eccellente modo per contribuire alla causa comune.
Se è questo il percorso che si desidera intraprendere, prima o poi ci si imbatte nell’acronimo ETS.
Ma che cos’è un ETS?
Vediamolo insieme.
Un ETS rappresenta un ente senza scopo di lucro operante nel sociale, avendo finalità civiche, utili al cittadino. Si differenzia dagli enti statali e della pubblica amministrazione, facenti parte del primo settore, e dal mercato delle imprese, definite del secondo settore.
Un ente ETS, quindi, è uno spicchio del terzo settore e si riferisce a soggetti che operano nel “no profit”. Le varie associazioni comprese nell’orbita del terzo settore hanno visto il proprio ambito essere riformato, a livello legislativo, nel 2017. La riforma, non ancora conclusa, ha previsto la nascita di un Registro Unico del Terzo Settore per le circa 300 mila associazioni che ne fanno parte.
Terzo settore: definizione
Il Terzo settore è quello che viene definito “no profit”, con gli enti che ne fanno parte senza scopo di lucro. Non sono imprese normali operanti nel mercato, bensì esercitano la loro attività con il preciso scopo di utilità civica e sociale.
La legge delega 106 del 2016 definisce, nell’articolo 1 comma 1, il Terzo settore con queste parole:
“si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”
Insomma il punto di partenza è l’attenzione ai bisogni della società, tanto che la definizione procede dicendo le attività comprese nel Terzo settore operano” in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi”. Insomma devono promuovere “attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.”
Anche nella Costituzione esistono dei principi che sanciscono lo stretto legame tra sussidiarietà e Terzo settore. Infatti, nell’articolo 118 della stessa, al comma 4, si legge: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.”
Terzo settore: cosa è cambiato con la riforma
Il nuovo decreto, datato 2017, vede l’applicazione di una nuova disciplina che dia maggior forza alle prerogative degli enti “no profit” proprio in base a quanto auspicato dalla carta costituzionale.
La sfera del Terzo settore gode in tal modo di una innovativa organizzazione a tutti i livelli: gestionale, normativo e fiscale. Con l’entrata in vigore, nel gennaio 2018, della prima fase della riforma tutte le novità diverranno operative, altre lo saranno per il 2023, quando tutte le associazioni che lo riterranno opportuno saranno ammesse al Registro Unico.
Di sicuro, l’entrata in vigore delle nuove disposizioni va molto a rilento, anche a causa del periodo infausto legato al Covid, ma le proroghe sono state molte, di varia natura, specie dal punto di vista fiscale, ritardi che hanno causato allungamenti nei tempi degli aggiornamenti degli statuti.
Alla fine di luglio, di questo 2022, è però arrivata la risposta finale che il settore legato alla solidarietà stava aspettando. Infatti, con il “Decreto semplificazioni” è stata approvata la normativa fiscale per il Terzo settore: passaggio fondamentale per ottenere le autorizzazioni definitive dal Senato prima, e dalla Commissione europea in seguito. Sono migliaia le realtà sociali nazionali che operano per supportare persone bisognose e sviluppare le comunità che svolgono un ruolo importante nel terzo settore.
Le norme in campo fiscale e contabile
L’approvazione delle norme fiscali e contabili degli ETS rappresenta un passo importante per la tenuta dell’intero ambito sociale ed economico degli ETS “no profit”.
Dopo 5 anni dall’inizio del cammino, l’attuazione della riforma del Terzo settore pare giunta al traguardo, sperando che il definitivo via libera della UE rappresenti per gli enti sociali e non commerciali la fine di un percorso che segni la vera rinascita per le attività solidali arricchendo il valore che questi apportano alla comunità intera.
Terzo settore: quali ETS
L’articolo 4 del Decreto legislativo 177 del 2017 stabilisce quali possono essere considerati enti del Terzo settore, come nel seguente elenco:
- Organizzazioni di volontariato;
- Enti filantropici;
- Associazioni di promozione sociale;
- Imprese e cooperative sociali, reti solidali, società di mutuo soccorso, associazioni riconosciute e non riconosciute, le fondazioni e tutti gli enti a carattere privato diversi dalle società che perseguono fini civici, solidali e di sociale utilità, senza avere scopi di lucro.
Lo stesso testo legislativo indica, al contempo, tutti i soggetti che non possono essere considerati del Terzo settore, con particolare esclusione per:
- Amministrazioni pubbliche;
- Formazioni e associazioni politiche;
- Sindacati;
- Associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche;
- Associazioni di datori di lavoro.
Altresì, gli enti religiosi riconosciuti dal Diritto civile sono ammessi solo nel caso in cui operino per il perseguimento di interessi generali, regolamentati dalla legislazione degli enti del Terzo settore.
Terzo settore: addio ONLUS
Con la riforma del Terzo settore, ormai definitiva, si chiude l’Era delle ONLUS, termine che scompare, le cui associazioni e organizzazioni facenti parte entreranno nel Registro Unico nazionale del Terzo settore, assumendo una nuova figura rispetto alle novità introdotte.
Saranno tenute ad adeguare i propri statuti, e a sottostare a nuovi regimi fiscali e contabili, diversi da quelli agevolati datati 1997.
Le vecchie ONLUS saranno chiamate a scegliere tra queste opzioni:
- Organizzazione di volontariato, detta ODV;
- Associazione di promozione sociale, detta APS;
- Altro ente tra i vari previsti dal nuovo decreto legislativo 2017.
In pratica, tutti gli enti già esistenti, prima del 2023, e comunque in modalità diverse in base alla data ante o post 31 marzo 2021, dovranno scegliere se passare al nuovo regime come ETS adeguandosi alle forme previste dalla nuova riforma, oppure restare ente non commerciale, rinunciare all’iscrizione al Registro Unico, detto RUNTS, rinunciando altresì ai benefici fiscali previsti dall’iscrizione stessa.
Proprio il RUNTS sarà l’effettiva novità della riforma, nel quale confluiranno tutti gli enti “no profit” che dovranno assumere un nuovo acronimo in base alla forma scelta per l’iscrizione al Registro Unico.
Tale iscrizione costituisce anche l’assunzione di personalità giuridica e, in base a diverse normative, favorire o meno l’eventuale iscrizione al registro delle imprese.
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