Era il 15 marzo del 1516 quando Giovanni di Lorenzo de’ Medici fu incoronato papa con il nome di Leone X e, fra i numerosi doni che ricevette come segno di rispetto, ve ne fu uno che è passato alla storia.
Stiamo parlando di Annone, il famoso elefante albino di quattro anni, regalo di Manuel I d’Aviz, monarca allora del Portogallo.
Sebbene i fiorentini dell’epoca fossero venuti a contatto con numerosi animali esotici, le fonti storiche attestano che, prima di quella data, la figura dell’elefante era conosciuta soltanto attraverso le immagini disegnate dell’animale e ai commenti sui taccuini compilati dai viaggiatori del periodo.
Oggi non è più così, sappiamo tutto sull’elefante, le specie e le sottospecie esistenti, dove vive, cosa mangia, come si riproduce, ma sappiamo anche che, come tutta la grande fauna africana, è in pericolo di estinzione per colpa degli sconsiderati comportamenti degli umani che hanno intrapreso una strada senza ritorno verso la totale distruzione degli ecosistemi naturali.
Ed è qui che entriamo in gioco noi, Keep the Planet, l’associazione ecologista che attraverso la conoscenza cerca di diffondere passione e amore per la tutela degli animali selvatici e la natura in generale.
Oggi quindi, parliamo dell’elefante, delle sue caratteristiche e del suo stato di conservazione.
Quante specie di elefanti esistono
Dal latino elĕphasantis, l’elefante è il più grande fra i mammiferi viventi che abitano la terraferma.
Noti per la loro lunga proboscide e per le loro zanne, gli elefanti possono superare i tre metri di altezza e i cinquanta quintali di peso.
Ma quante specie di elefanti esistono?
Fino a pochi anni fa, si pensava che le uniche specie di elefanti giunte fino a noi erano quelle dell’elefante asiatico e dell’elefante africano.
Recenti studi genetici hanno dimostrato invece l’esistenza di una terza specie, l’elefante africano di foresta (noto con il nome scientifico di Loxodonta africana cyclotis), portando quindi l’elefante africano a trasformarsi in elefante africano di savana (noto con il nome scientifico di Loxodonta africana cyclotis).
Per lungo tempo si è parlato dell’esistenza di una terza sottospecie di elefante africano, il cosiddetto elefante pigmeo.
L’elefante pigmeo africano (Loxodonta pumilio) non è da essere confuso con l’elefante nano. Si tratta di una razza di elefanti che da adulti non superano i due metri di altezza.
A parlare di questa specie sono i nativi dell’Africa centrale, zona in cui questa tipologia di elefante è conosciuta con il nome di wakawaka.
Tutte e tre le specie esistenti oggi fanno parte della famiglia degli Elephantidae, dell’ordine dei proboscidati. Le due specie di elefanti africani fanno parte del genere Loxodonta, quello asiatico del genere Elephas.
L’Elephas maximus, termine scientifico dell’elefante asiatico, è il più longevo della famiglia degli elefantidi.
Attualmente esistono quattro sottospecie viventi di elefante asiatico e sono tutte presenti sul territorio indiano, per questo motivo si è soliti indicare l’elefante asiatico con il nome generico di elefante indiano.
Le sottospecie in questione sono:
- l’Elephas maximus maximus, detto l’elefante di Ceylon;
- l’Elephas maximus borneensis, conosciuto come l’elefante del Borneo;
- l’Elephas maximus indicus, detto comunemente l’elefante indiano;
- l’Elephas maximus sumatranus, ovvero l’elefante di Sumatra.
Grazie agli scavi archeologici, siamo a conoscenza di altre due sottospecie di elefante vissute fino al 1400 a.C. ma oggi del tutto estinte: parliamo dell’Elephas maximus rubridens e dell’Elephas maximus asurus, conosciuto come elefante siriano.
Caratteristiche degli elefanti
Gli elefanti vivono generalmente fino ai settant’anni e sono provvisti di due zanne in avorio e di una proboscide che rende questa specie unica nel suo genere.
La proboscide, derivata dalla fusione del naso con il labbro superiore, svolge innumerevoli funzioni. Si tratta di una protuberanza priva di ossa e provvista di milioni di sensori e ricettori con cui questi animali riescono non soltanto a percepire l’odore dell’acqua da diverse migliaia di distanza, ma sono in grado di aspirarne fino a dieci litri al minuto.
La proboscide, inoltre, possiede una capacità motoria tale da sollevare pesi importanti che superano i duecentocinquanta chili grazie ai muscoli e alla forza in essa contenuti e, in questo modo, assolve le sue funzioni pensili e tattili.
Usata anche nella comunicazione fra i simili, la proboscide svolge anche un compito sociale: ad esempio, quando due elefanti sono in procinto di salutarsi, avvicinano le loro proboscidi incrociandole fra di loro, così come accade fra gli esseri umani con la classica stretta di mano.
E quando un elefante vuole fare nuove conoscenze?
Semplice: traccerà nell’aria con la sua proboscide un segno a forma di “s”.
Nonostante le molteplici caratteristiche fisiche in comune, sono molto le differenze che intercorrono fra l’elefante asiatico e l’elefante africano.
Gli elefanti asiatici hanno una lunghezza di circa sette metri e possono arrivare a pesare fino a cinque tonnellate per quanto riguarda i maschi adulti, mentre le femmine raggiungono un’altezza di circa due metri e mezzo per un massimo di tre tonnellate di peso.
L’elefante asiatico è senza dubbio di dimensioni più ridotte rispetto a quello africano, come più piccole e di forma arrotondata sono le loro orecchie che non coprono la loro testa per intero.
Le zanne sono una caratteristica soltanto degli esemplari maschi e le dita delle zampe posteriori sono quattro, mentre in quelle superiori se ne contano cinque. Per quanto riguarda la loro proboscide, gli elefanti asiatici presentano soltanto un dito, vale a dire la terminazione della protuberanza pari a un singola fessura.
La schiena, a differenza di quella degli elefanti africani, non è liscia e orizzontale ma si presenta spiovente.
Gli elefanti africani, sono dunque più grandi di quelli asiatici infatti, non è un caso, che si tratti dell’animale più grande che abita la terraferma: gli esemplari maschi possono raggiungere i quattro metri di altezza con un peso che varia dalle quattro alle sei tonnellate, mentre le femmine possono arrivare ai due metri per un peso che si aggira intorno alle tre tonnellate.
Le zampe dell’elefante africano hanno quattro dita nelle anteriori e tre dita nelle zampe posteriori.
Le orecchie sono molto grandi e vengono usate come un ventilatore per poter fronteggiare alle alte temperature che si raggiungono nella savana e nelle foreste.
A differenza degli asiatici, gli esemplari africani (sia maschili che femminili) possiedono tutti le zanne che vengono usate per destreggiarsi nella ricca vegetazione presente nel loro habitat.
La loro schiena è liscia e la proboscide è provvista di due fessure sulla punta. La coda, invece è più corta in proporzione alla grandezza totale del corpo.
Cenni di ecologia dell’elefante
Gli elefanti sono animali nomadi i quali vivono sempre in prossimità di corsi d’acqua.
A causa del bracconaggio, gli elefanti della foresta africana sono in serio pericolo di estinzione e non a caso, sin dal 1989 la specie Loxodonta africana è stata inserita nelle liste di protezione con misure che vietano il commercio dell’avorio, materiale di cui sono composte le zanne.
Infatti, proprio il 1989 è l’anno in cui viene chiuso ufficialmente in mercato internazionale dell’avorio ma con scarsi risultati: nonostante gli innumerevoli divieti, la caccia di frodo continua ad essere una realtà drammatica.
Molte sono le associazioni che si battono da sempre per la conservazione degli habitat di questi animali attraverso l’istituzione di nuove riserve e innumerevoli iniziative come ad esempio il programma l’ETIS, “Elephant Trade Information System”, una banca dati gestita da Traffic, la rete internazionale che si occupa del monitoraggio del commercio della fauna selvatica in estinzione.
Un altro programma è MIKE (“Monitoring Illegal Kill Elephant Programme”), il cui obiettivo è quello di raccogliere dati sulla mortalità degli elefanti e di diminuire le uccisioni illegali, per poi aiutare i governi locali a risolvere i conflitti fra attività economiche e presenza di elefanti.
Un ulteriore progetto ai fini della riduzione del conflitto tra gli uomini e gli elefanti è quello finanziato dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (Usaid) il cui piano di protezione chiamato “Sharpp” (“Southern Highlands and Ruaha-Katavi Protection Program”) mira a proteggere oltre venticinque mila esemplari di elefanti minacciati dal bracconaggio in un’area di centoquindici mila chilometri quadrati nella zona dell’Africa orientale.
Esistono, inoltre, diverse organizzazioni che si prendono cura della salvaguardia degli elefanti e della loro reintroduzione, una volta riabilitati, nel loro habitat naturale.
Si tratta di programmi di volontariato attivi in Asia e in Africa.
Intraprendere un viaggio di volontariato ai fini della conservazione della biodiversità di questa specie, è sicuramente una scelta fondamentale per poter aiutare gli elefanti a non estinguersi.
Se vuoi accedere ai migliori progetti di conservazione degli elefanti, diventa socio della nostra associazione e accedi al database più completo con le associazioni coinvolte.
Dove vivono le varie specie di elefanti
L’elefante asiatico vive nelle pianure erbose e nelle giungle dall’Asia meridionale, precisamente in piccole parti dell’India e del sud-est asiatico.
In passato non era così, infatti questa specie copriva oltre l’India e il sud-est asiatico anche tutta la Cina.
Attualmente si possono trovare in Sri Lanka, Bangladesh, India, Sumatra e Borneo.
Ad eccezione della parte settentrionale e del Sahara, gli elefanti africani vivono in tutta l’Africa e abitano sia nelle foreste che nella savana.
Nelle foreste, possono essere avvistati in in Congo, Repubblica Centrale Africana, Gabon, Ghana, Costa d’Avorio e in generale in tutta l’Africa centrale e occidentale.
Gli elefanti che vivono nella savana si trovano generalmente al sud del Sahara nei pressi dell’Etiopia ma anche in Gabon, Tanzania, Botswana e Zambia.
Con le sue qualità quali la saggezza, la forza e la prudenza, l’elefante è un animale intelligente e venerato da molte culture.
In India, ad esempio, è considerato un animale sacro in quanto custode dell’energia degli antenati e la divinità legata an esso è quella del Dio Ganesh, dal corpo umano e dalla testa di un elefante.
Una delle varie leggende che vi sono intorno a questa figura narra che, un giorno, la moglie del dio Shiva, la dea Parvati, essendosi stancata di stare sempre da sola poiché il marito non era mai presente in casa, decise di crearsi un figlio che potesse proteggerla dagli occhi indiscreti degli sconosciuti mentre era solita farsi il bagno.
Accadde però che il giovane figlio, quando il padre decise di tornare, non diede a quest’ultimo il permesso di entrare in casa. Questo divieto scatenò l’ira di Shiva il quale decapitò il ragazzo. Da quel momento, Parvati, straziata dal dolore accusò il marito dell’efferato omicidio.
Il dio, allora, decise di rimediare promettendo di staccare la testa al primo essere vivente per poi riattaccarla al corpo del figlio: a passare di lì, fu proprio un elefante.
Questa è la nascita di Ganesha, la divinità con la testa di elefante, il corpo umano avente quattro braccia le cui mani afferrano un’ascia, un cappio, un fiore di loto e un piatto di dolci mentre con la proboscide, afferra un contenitore di miele, simbolo della conoscenza.
Ai piedi di Ganesha, è sempre rappresentato un piccolo topo chiamato Mushaka, personificazione della fertilità e dell’astuzia.