In una società sempre più incentrata verso il materialismo, è lecito domandarsi: perché dovremmo salvare gli orangotango?
Anche se non condivido, posso capire le obiezioni dei più pigri ed individualisti che magari lottano per un posto di lavoro, per una migliore condizione di vita, eccetera, che la sopravvivenza degli orango tango non sia in cima delle loro priorità.
Quello che forse non si capisce è che salvare gli orango significa salvare noi stessi, il pianeta e le future generazioni.
Lasciami spiegare meglio.
I fossili dimostrano che in passato gli orango tango vivevano in un ampio areale che riguardava diversi paesi asiatici come Thailandia, Vietnam, Malesia, Cina ed Indonesia.
Secoli di conflitti, cambiamenti climatici e riduzione dell’areale, hanno purtroppo confinato gli orango in due sole isole: Borneo e Sumatra.
Tutto sommato, la situazione degli orango a inizio secolo scorso non era poi così drammatica: agli inizi del 900 si stimava una popolazione di circa 320.000 esemplari equamente divisi tra le due isole.
Ma il peggio doveva ancora arrivare, il triste destino della specie era giusto dietro l’angolo.
A partire dagli anni 50 infatti, si avviò una massiva deforestazione delle due isole per lasciare spazio alle più svariate attività umane come lo sfruttamento del legname, apertura di nuove miniere e soprattutto la massiva coltivazione di palma da olio.
Le palme da olio sono una delle coltivazioni più distruttive al pianeta, non tutti forse sanno che la palma coltivata in Indonesia è una specie importata dall’Africa che non rispetta le condizioni ecologiche del nuovo territorio.
La parte più drammatica delle coltivazioni non è infatti la distruzione delle foreste, ma il fatto che dopo 25 anni di produzione il terreno diventa un deserto dove non è possibile coltivare nulla.
Immaginate di distruggere il faggeto del Parco Nazionale d’Abruzzo per impiantare delle vigne per produrre vino che in soli 25 anni dovranno necessariamente essere abbandonate perché non più produttive.
Ecco, questo è quello che sta succedendo in Malesia ed Indonesia per far spazio alle palme da olio.
Se pensate che uccidere una persona sia un crimine contro l’umanità, cosa rappresenta distruggere foreste millenarie che da sempre sono fonte di sostentamento per centinaia di migliaia di persone?
Non è forse la deforestazione un crimine contro l’umanità?
Non c’è infatti solo l’aspetto della salvaguardia delle specie selvatiche nella distruzione delle foreste, ma anche lo sradicamento di intere comunità che presto o tardi andranno ad ingigantire le giù grosse file dei rifugiati ambientali.
Non c’è solo guerre e violenze alla base delle migrazioni, ma anche e soprattutto le crisi ambientali.
Forse pochi sanno che la guerra civile siriana nacque da una rivolta dei pastori siriani afflitti dalla siccità.
Il ruolo delle foreste nei mutamenti climatici
Una delle incoerenze più grandi che vedo intorno a me è la mancanza di consapevolezza tra i vari aspetti della vita sulla terra.
Vedo genitori ansiosi per il futuro dei propri figli, ma poi quegli stessi genitori se ne fregano ampiamente di tante tematiche ambientali vitali per il futuro delle future generazioni.
Che senso ha preoccuparsi del corso di studi o dei voti che prende a scuola il proprio figlio, se poi ci si disinteressa completamente della deforestazione?
Probabilmente il motivo si insinua nell’ignoranza diffusa che quello che succede in Asia si riflette in Europa e viceversa.
Forse si ignora che senza le foreste non importa con quale voto tuo figlio uscirà dalle scuole medie perché senza foreste la vita sulla terra non sarà compatibile con la specie umana.
Stiamo bruciando milioni di tonnellate di risorse energetiche rilasciando miliardi di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera, quella stessa anidride carbonica responsabile del cambiamento climatico.
Insieme agli oceani, le foreste sono i più grandi bacini di cattura dell’anidride carbonica, tagliare le foreste è come un bambino piccolo che sta giocando con una pentola di olio bollente.
Stiamo letteralmente giocando con il fuoco e la gente non se ne rende nemmeno conto.
Posso capire il nichilista che vive alla giornata, ma non un padre di famiglia preoccupato per il futuro dei propri figli.
Che fare quindi?
Innanzitutto diventiamo consapevoli delle nostre azioni e delle nostre scelte, secondo applichiamo questa nuova consapevolezza in nuovi stili di vita consapevoli.
Ecco quindi che ci ritroveremo a smettere di comprare prodotti dal Sudamerica preferendo cibo locale, ecco boicottare le aziende che usano olio di palma piuttosto che olio di girasole, ecco sfogliare il catalogo delle nuove auto elettriche, ci ritroveremo ad installare pannelli solari e così via.
Lo so, il senso di impotenza c’è e rimane, ma da qualche parte dobbiamo iniziare.
L’orango è la testimonianza vivente del nostro passato.
Noi di Keep the Planet faremo certo la nostra parte, clicca qui per scoprire il nostro progetto per salvare gli orango.