La nostra posizione di superpredatori all’interno della catena alimentare, mette a dura prova gli equilibri del pianeta.
Rispetto a tutti gli altri predatori, infatti, l’uomo è quello che uccide più di quanto non facciano le altre specie animali, prende di mira gli esemplari adulti mettendo a rischio la stirpe produttiva, caccia altri carnivori dieci volte di più rispetto quanto avviene in natura ed è dotato di avanzate tecnologie di uccisione.
Il tutto si traduce in un impatto estremo che trasforma gli ecosistemi, altera gli equilibri della stessa catena alimentare e danneggia l’ambiente.
Ed è per questo che, oggi, uno dei metodi più efficaci per proteggere l’ambiente in maniera sostanziale è proprio quello di modificare le abitudini legate alla nostra alimentazione.
Quali cibi dobbiamo consumare meno?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci viene in aiuto nella scelta dei cibi meno impattanti sull’ambiente.
Ha infatti accostato alla classica piramide alimentare, i cui posti alla base sono occupati da alimenti da privilegiare nella dieta e quelli in punta da alimenti di cui bisognerebbe diminuirne il consumo, una piramide inversa che evidenzia gli impatti ambientali del cibo che mettiamo in tavola.
E i primi posti sono proprio occupati da alimenti per il cui processo produttivo e trasporto, comportano uno sfruttamento eccessivo delle risorse del territorio.
Vengono disboscate foreste, viene degradato il suolo e vengono emesse tonnellate su tonnellate di sostante inquinanti.
Carne Bovina
La carne è da sempre la principale fonte proteica nella dieta della maggior parte della popolazione mondiale e con lo sviluppo economico è diventata fattore di riconoscimento della ricchezza di un paese.
Condizioni che hanno portato negli ultimi cinquant’anni ad un consumo più che raddoppiato, soprattutto nei paesi sviluppati. Consumo che è in una continua crescita esponenziale e che ha reso oggi l’industria della carne ad essere l’industria alimentare più impattante.
L’industria della carne è, infatti, tra le maggiori produttrici di gas serra nell’atmosfera, con emissioni che, secondo stime recenti della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) superano il 18 % delle emissioni globali, causate in particolar modo dalle deiezioni e flatulenze dei bovini.
È inoltre causa dell’80 % della deforestazione mondiale che, per soddisfare il fabbisogno alimentare degli animali d’allevamento, richiede superfici sempre più grandi per la produzione di soia, cereali e foraggio, distruggendo habitat ed ecosistemi naturali.
La stessa agricoltura intensiva va inoltre ad impoverire il suolo, dovuto sia all’estirpamento degli alberi, che con l’effetto barriera proteggono la terra dagli agenti atmosferici evitando fenomeni di erosione, sia a causa dei pesanti macchinari che compattano e tolgono ossigeno al terreno.
Terreno con qualità chimico-fisiche già fortemente alterate dall’utilizzo di pesticidi chimici e fertilizzanti, che vanno a intaccare l’ecosistema del sottosuolo, arrestando la riproduzione di tutte quelle specie animali utili ad esso, come lombrichi, funghi e batteri che hanno come habitat proprio il substrato terroso.
Altro impatto importante è quello delle risorse idriche, che a causa dello sversamento delle deiezioni dei bovini, degli antibiotici, fertilizzanti ed altre sostanze chimiche, vengono avvelenate irrimediabilmente, che siano appartenenti tanto a grandi bacini superficiali, che a piccoli corsi d’acqua, che alle falde acquifere.
Formaggio e prodotti caseari
Prodotti di punta e di grande esportazione dei compartimenti lattiero caseari europei, il formaggio e i prodotti caseari sono secondi solo alla carne bovina per impatto ambientale.
I danni ambientali sono ovviamente legati all’allevamento e vedono come conseguenza principale le emissioni di gas serra, che contribuiscono all’innalzamento del riscaldamento globale, dovuto alla fermentazione enterica degli animali d’allevamento.
Altri impatti sono legati all’occupazione dei terreni coltivati per la produzione di mangimi che causano deforestazione e distruzione degli ecosistemi e all’inquinamento delle risorse idriche avvelenate da deiezioni, antibiotici e sostanze agricole chimiche.
Pesce e prodotti ittici
Anche l’acquacoltura incide notevolmente sull’ambiente. Sono sempre di più le aree di pesca, nei nostri mari, che si stanno pian piano svuotando anche a causa dell’incremento di tecniche di pesca di tipo industriale.
Nell’utilizzo di reti a circuizione, cioè tramite l’utilizzo di reti posizionate intorno a banchi di pesci identificati per mezzo di satelliti, sono molto spesso utilizzati metodi che favoriscono l’aggregazione di un grosso numero di pesci intaccandone la riproduzione.
Ancora più preoccupanti sono i Fad, cioè grandi boe in cemento che ancorate al fondo del mare attraggono un gran numero di specie, tra cui esemplari che il più delle volte vengono ributtati in mare perché non adatti alla vendita sul mercato, andando quindi a impattare sulla biodiversità ittica.
Infine, la tecnica di pescaggio meno selettiva è quella delle reti da traino agganciate alla poppa del peschereccio che durante la navigazione oltre a catturare grosse quantità di specie, anche non adatte a mercato, recano ingenti danni ai fondali distruggendo coralli e vegetazione.
Per quanto riguarda l’allevamento di pesci e molluschi gli effetti negativi sull’ambiente sono dati dall’utilizzo di farmaci, dalle deiezioni degli animali e in particolar modo dai mangimi, che, a seconda della specie, possono anche essere a base di pesce, ovviamente sottratto all’ecosistema.
Carne suina
Anche per i suini vanno sempre più scomparendo i piccoli allevamenti tradizionali e sono sempre di più presenti quelli intensivi. Allevamenti industriali che sono una vera e propria bomba ecologica, tanto per la salute pubblica che per l’ambiente.
Le cause sono sempre quelle: le grosse quantità di mangime che per venire prodotte hanno bisogno di terreni agricoli sempre più grandi e che portano alla deforestazione di ettari ed ettari di natura incontaminata; le elevate e altamente inquinanti deiezioni dei maiali che, insieme agli antibiotici, pesticidi e fertilizzanti, finiscono nel sottosuolo, nei corsi d’acqua e nell’aria, avendo una composizione tale da renderle rifiuti di difficile smaltimento (sono infatti ricche di potassio, fosforo e azoto); l’enorme consumo d’acqua, che per produrre un kg di carne di maiale, ammonta a più di sei mila litri.
Oltre a tutto questo non bisogna dimenticare le condizioni problematiche in cui vengono stipati i maiali negli allevamenti intensivi, costretti, per tutta la loro breve vita, a celle minuscole in cui non hanno la possibilità nemmeno di girarsi o di interagire con i propri cuccioli che, molto spesso finiscono per l’essere schiacciati dagli esemplari adulti.
Carne avicola e uova
Non sono da meno gli allevamenti intensivi di pollame, le cui condizioni di vita all’interno delle fabbriche non sono più agevoli di quelle dei maiali e degli altri animali soggetti ad allevamento intensivo. Sono infatti ammassati in spazi ridotti, senza vedere la luce del sole e ingozzati di mangime fino a non riuscire più a reggersi in piedi.
Problematica è la crescita esponenziale della richiesta di mangime degli animali e la questione dello smaltimento del letame, che, altamente inquinante per la presenza di azoto, fosforo e residui di antibiotici ed altri farmaci, viene smaltito nell’ambiente causando la contaminazione delle acque e conseguenti focolai infettivi (come l’influenza aviaria).
Acque che vengono già ampiamente utilizzate nella macellazione, lavaggio e raffreddamento delle carni e che, secondo stime della Fao, ammontano anche a 30 metri cubi di acqua per tonnellata di prodotto.