Un articolo di Alessandro Nicoletti sulla storia del diritto ambientale internazionale per capire l’evoluzione che ha portato alla nascita della giurisdizione dedicata alla tutela ambientale.
Keep the Planet è un’associazione che nasce con l’intento di divulgare i principi cardine della conservazione ambientale riprendendo concetti complessi e trasformarli in una forma più sintetica ed efficace in grado di raggiungere un pubblico più ampio.
Siamo infatti convinti che per proteggere e amare l’ambiente bisogna prima conoscerlo.
In questo articolo cerchiamo di semplificare il concetto di ambiente dal punto di vista legislativo e di offrire una panoramica della nascita del diritto ambientale internazionale.
Capire come nasce questa esigenza di tutelare l’ambiente è infatti di vitale importanza per comprendere la legislazione moderna e di come la società globale si è approcciata a questo argomento.
Per farlo iniziamo con il definire il concetto di ambiente che nel linguaggio comune viene impiegato spesso in modo generico.
Infatti, con il sostantivo ambiente è possibile identificare una pluralità di fenomeni e contesti diversi tra loro che di fatto impedisce una definizione univoca.
Basti pensare alla varietà possibile di usi del termine ambiente come l’ambiente terrestre, l’ambiente urbano e così via.
Non a caso, nella legislazione italiana non esiste una definizione univoca di ambiente, ma piuttosto un riferimento che afferma che lo Stato ha competenza in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
Nella legislazione europea, la normativa si riferisce ad una nozione totalizzante di ambiente che racchiude la tutela della qualità dell’acqua, dell’aria, del suolo, dei fiumi, dei laghi, delle coste, del cibo, della flora, della fauna e del paesaggio.
Nell’ordinamento italiano, il termine ambiente è stato inserito nella Carta costituzionale solo nel 2001 a seguito della riforma costituzionale nell’articolo 117 dove si afferma che lo Stato ha competenza esclusiva di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” senza quindi offrire una dichiarazione chiara giuridica del concetto ambiente.
Prima della riforma del 2001 la costituzione non prevedeva quale valore primario la protezione dell’ambiente, ma solo “la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e storico della nazione.”
Una soluzione all’impasse può arrivare dal mondo scientifico che al contrario della giurisprudenza ha una definizione propria del termine ambiente che sta ad indicare “l’insieme dei fattori viventi (biotici) e non viventi (abiotici) di un ecosistema.”
I fattori biotici sono gli organismi viventi diversi dall’uomo come virus, batteri, funghi, piante ed animali, mentre i fattori abiotici sono il mezzo fisico in cui gli organismi vivono e cioè l’acqua, l’aria e il suolo.
Nonostante i tecnicismi, quello che risulta di particolare importanza in questo contesto è il fatto che l’uomo ha ormai capito quanto sia fondamentale proteggere la qualità dell’ambiente circostante attraverso politiche chiare di tutela e prevenzione capaci di ridurre i danni e di garantire lo sviluppo sostenibile inteso come “il principio che soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.”
Storia del diritto ambientale nel mondo
Il diritto ambientale è quella branca del diritto che si occupa della tutela e salvaguardia dell’ambiente. Si manifesta a livello sovranazionale, nazionale e regionale.
Nella sua accezione più ampia comprende tutte le norme a riguardo di difesa degli agenti fisici come acqua, aria, suolo; alle norme di tutela del paesaggio; alle norme sulla tutela della salute umana rispetto ad agenti esterni.
Il diritto dell’ambiente prende dalla terminologia scientifica di ambiente gli aspetti giuridicamente rilevanti considerando i fattori che forniscono sostentamento e benessere all’uomo e per cui sono soggette a politiche gestionali per la loro conservazione.
I fattori considerati sono le fonti energetiche, le materie prime, l’habitat, gli organismi viventi e lo spazio.
Lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali di questi ultimi decenni ha inevitabilmente obbligato le nazioni ad intervenire in ambito ambientale.
Oggi termini come “overshoot day” , “impronta ecologica“, “green economy“, “emissioni di anidride carbonica” e “cambiamenti climatici” sono di dominio pubblico, ma fino a pochi decenni non erano nemmeno presi in considerazione dai governi nazionali.
L’evento originario del 1941
Il primo segnale di una necessaria presa di posizione rispetto alla tutela dell’ambiente a livello internazionale avvenne durante una disputa tra Canada e Stati Uniti dove la sentenza dell’11 Marzo 1941 di un tribunale arbitrario specifico stabilì che nessuno Stato ha il diritto di usare le proprie risorse se questo causa danni tangibili ad uno Stato confinante.
La causa prese avvio dalla protesta degli agricoltori americani che vedevano danneggiate le loro culture dalle attività della fonderia Trail situata in territorio canadese.
Come ben sappiamo, i fumi delle fonderie non conoscono i confini nazionali e questo fatto portò per la prima volta la comunità internazionale a riflettere circa gli impatti delle attività industriale.
Questo primo evento non portò subito ad una presa di coscienza immediata perché solo a partire dagli anni ’60 si iniziò a comprendere di come fosse necessario di impostare a livello globale la tutela e la salvaguardia dell’ambiente.
Nella prima fase il problema della tutela ambientale venne sviluppata nel contesto dei rapporti di vicinato della nazioni per non creare dissidi e controversie per poi ampliarsi comprendendo concetti via via più globali.
La Conferenza di Stoccolma del 1972
Con il motto “noi abbiamo una sola terra“, la Conferenza di Stoccolma organizzata dalle Nazioni Unite nel 1972 segna un passo epocale nella storia del diritto ambientale internazionale.
Qui, per la prima volta nella storia dell’umanità, venne creata una “Risoluzione relativa ad accordi istituzionali e finanziari“, di un “Piano d’azione” e una “Dichiarazione di Principi” dove vennero espressi i seguenti concetti:
- necessità di prevenire le principali fonti di inquinamento e i maggiori rischi ecologici;
- la libertà di sfruttare le risorse naturali per garantire soddisfacenti condizioni di vita;
- l’importanza di una politica di cooperazione tra Stati volta a limitare eventuali danni.
Questi 3 documenti segnano la nascita vera e propria del diritto ambientale internazionale, segnando quindi un evento storico cruciale dettato dalle sempre più stringenti questioni ambientali.
Con il crescere della popolazione mondiale e con l’accentuarsi delle problematiche ecologiche, finalmente gli Stati fecero un primo passo verso la tutela del patrimonio naturale del pianeta.
I lavori si conclusero con la nascita dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente che opera contro i cambiamenti climatici a favore della tutela dell’ambiente e dell’uso sostenibile delle risorse naturali.
Fu proprio grazie alla nascita dell’UNEP dotato di struttura propria che si diede vita ad una serie di negoziati tra le nazioni che portarono all’adozione di importanti convenzioni internazionali rivolte alla tutela ambientale.
La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992
Il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992, è stato la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente.
È stato un evento senza precedenti anche in termini di impatto mediatico e di scelte politiche e di sviluppo conseguenti. Vi parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative e oltre 17.000 persone aderirono al NGO Forum.
La Conferenza è stata chiamata anche Eco 92 (in portoghese), The Earth Summit (in inglese) ma il suo nome ufficiale è United Nations Conference on Environment and Development (UNCED; in italiano Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite). È comunque generalmente chiamata la Conferenza di Rio.
Qui vennero finalmente proclamati i 27 principi generali sull’ambiente:
- Principio 1 Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.
- Principio 2: Conformemente alla Carta delle Nazioni ed ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo, ed hanno il dovere di assicurare che le attività sottoposte alla loro giurisdizione o al loro controllo non causino danni all’ambiente di altri Stati o di zone situate oltre i limiti della giurisdizione nazionale.
- Principio 3: Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future.
- Principio 4: Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo.
- Principio 5: Tutti gli Stati e tutti i popoli coopereranno al compito essenziale di eliminare la povertà, come requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile, al fine di ridurre le disparità tra i tenori di vita e soddisfare meglio i bisogni della maggioranza delle popolazioni del mondo. Principio 6 Si accorderà speciale priorità alla situazione ed alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli più vulnerabili sotto il profilo ambientale. Le azioni internazionali in materia di ambiente e di sviluppo dovranno anche prendere in considerazione gli interessi e le esigenze di tutti i paesi.
- Principio 6: Si accorderà speciale priorità alla situazione ed alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli più vulnerabili sotto il profilo ambientale. Le azioni internazionali in materia di ambiente e di sviluppo dovranno anche prendere in considerazione gli interessi e le esigenze di tutti i paesi.
- Principio 7: Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l’integrità dell’ecosistema terrestre. In considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel perseguimento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le loro società esercitano sull’ambiente globale e le tecnologie e risorse finanziarie di cui dispongono.
- Principio 8: Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile e ad una qualità di vita migliore per tutti i popoli, gli Stati dovranno ridurre ed eliminare i modi di produzione e consumo non sostenibili e promuovere politiche demografiche adeguate.
- Principio 9: Gli Stati dovranno cooperare al fine di rafforzare le capacità istituzionali endogene per lo sviluppo sostenibile, migliorando la comprensione scientifica mediante scambi di conoscenze scientifiche e tecnologiche e facilitando la preparazione, l’adattamento, la diffusione ed il trasferimento di tecnologie, comprese le tecnologie nuove e innovative.
- Principio 10: Il modo migliore di trattare le questioni ambientali e’ quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nelle comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo.
- Principio 11: Gli Stati adotteranno misure legislative efficaci in materia ambientale. Gli standard ecologici, gli obiettivi e le priorità di gestione dell’ambiente dovranno riflettere il contesto ambientale e di sviluppo nel quale si applicano. Gli standard applicati da alcuni paesi possono essere inadeguati per altri paesi, in particolare per i paesi in via di sviluppo, e imporre loro un costo economico e sociale ingiustificato.
- Principio 12: Gli Stati dovranno cooperare per promuovere un sistema economico internazionale aperto e favorevole, idoneo a generare una crescita economica ed uno sviluppo sostenibile in tutti i paesi ed a consentire una lotta pi efficace ai problemi del degrado ambientale. Le misure di politica commerciale a fini ecologici non dovranno costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o ingiustificata o una restrizione dissimulata al commercio internazionale. Si dovrà evitare ogni azione unilaterale diretta a risolvere i grandi problemi ecologici transfrontalieri o mondiali dovranno essere basate, per quanto possibile, su un consenso internazionale.
- Principio 13: Gli Stati svilupperanno il diritto nazionale in materia di responsabilità e risarcimento per i danni causati dall’inquinamento e altri danni all’ambiente e per l’indennizzo delle vittime. Essi coopereranno, in modo rapido e più determinato, allo sviluppo progressivo del diritto 3 internazionale in materia di responsabilità e di indennizzo per gli effetti nocivi del danno ambientale causato da attività svolte nell’ambito della loro giurisdizione o sotto il loro controllo in zone situate al di fuori della loro giurisdizione.
- Principio 14: Gli Stati dovranno cooperare efficacemente per scoraggiare o prevenire la ricollocazione o il trasferimento in altri Stati di tutte le attività e sostanze che provocano un grave degrado ambientale o si dimostrano nocive per la salute umana.
- Principio 15: Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale.
- Principio 16: Le autorità nazionali dovranno adoprarsi a promuovere l'”internalizzazione” dei costi per la tutela ambientale e l’uso di strumenti economici, considerando che, in linea di principio, e’ l’inquinatore a dover sostenere il costo dell’inquinamento, tenendo nel debito conto l’interesse pubblico e senza alterare il commercio e le finanze internazionali.
- Principio 17: La valutazione d’impatto ambientale, come strumento nazionale, sarà effettuata nel caso di attività proposte che siano suscettibili di avere effetti negativi rilevanti sull’ambiente e dipendano dalla decisione di un’autorità nazionale competente.
- Principio 18: Gli Stati notificheranno immediatamente agli altri Stati ogni catastrofe naturale o ogni altra situazione di emergenza che sia suscettibile di produrre effetti nocivi imprevisti sull’ambiente di tali Stati. La comunità internazionale compirà ogni sforzo per aiutare gli Stati così colpiti.
- Principio 19: Gli Stati invieranno notificazione previa e tempestiva agli Stati potenzialmente coinvolti e comunicheranno loro tutte le informazioni pertinenti sulle attività che possono avere effetti transfrontalieri seriamente negativi sull’ambiente ed avvieranno fin dall’inizio con tali Stati consultazioni in buona fede.
- Principio 20: Le donne hanno un ruolo vitale nella gestione dell’ambiente e nello sviluppo. La loro piena partecipazione e’ quindi essenziale per la realizzazione di uno sviluppo sostenibile.
- Principio 21: La creatività, gli ideali e il coraggio dei giovani di tutto il mondo devono essere mobilitati per creare una partnership globale idonea a garantire uno sviluppo sostenibile e ad assicurare a ciascuno un futuro migliore.
- Principio 22: Le popolazioni e comunità indigene e le altre collettività locali hanno un ruolo vitale nella gestione dell’ambiente e nello sviluppo grazie alle loro conoscenze e pratiche tradizionali. 4 Gli Stati dovranno riconoscere la loro identità, la loro cultura ed i loro interessi ed accordare ad esse tutto il sostegno necessario a consentire la loro efficace partecipazione alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile.
- Principio 23: L’ambiente e le risorse naturali dei popoli in stato di oppressione, dominazione ed occupazione saranno protetti.
- Principio 24: La guerra esercita un’azione intrinsecamente distruttiva sullo sviluppo sostenibile. Gli Stati rispetteranno il diritto internazionale relativo alla protezione dell’ambiente in tempi di conflitto armato e coopereranno al suo progressivo sviluppo secondo necessità.
- Principio 25: La pace, lo sviluppo e la protezione dell’ambiente sono interdipendenti e indivisibili.
- Principio 26: Gli Stati risolveranno le loro controversie ambientali in modo pacifico e con mezzi adeguati in conformità alla Carta delle Nazioni Unite.
- Principio 27: Gli Stati ed i popoli coopereranno in buona fede ed in uno spirito di partnership all’applicazione dei principi consacrati nella presente Dichiarazione ed alla progressiva elaborazione del diritto internazionale in materia
Protocollo di Kioto del 1997
Il protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, pubblicato l’11 dicembre 1997 nella città giapponese di Kyoto da più di 180 Paesi in occasione della Conferenza delle Parti “COP3” della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. A maggio 2013 gli Stati che hanno aderito e ratificato il protocollo sono 192. Il 16 marzo 2007 si è celebrato l’anniversario del secondo anno di adesione al protocollo di Kyoto, e lo stesso anno ricorre il decennale dalla sua stesura. Con l’accordo di Doha, l’estensione del protocollo è stata prolungata dal 2012 al 2020, con ulteriori obiettivi di taglio delle emissioni serra.
La motivazione della nascita del Protocollo di Kyoto, risiedeva nel contrasto al riscaldamento climatico, probabilmente il più grande e preoccupante problema ambientale dell’era moderna, con le emissioni di CO2 in atmosfera che si costituiscono come il principale costituente dell’impronta ecologica umana.
Il Protocollo di Kyoto impegnava i Paesi sottoscrittori (le Parti) ad una riduzione quantitativa delle proprie emissioni di gas ad effetto serra (i gas climalteranti, che riscaldano il clima terrestre) rispetto ai propri livelli di emissione del 1990 (baseline), in percentuale diversa da Stato a Stato: per fare questo le Parti sono tenute a realizzare un sistema nazionale di monitoraggio delle emissioni ed assorbimenti di gas ad effetto serra da aggiornare annualmente, insieme alla definizione delle misure per la riduzione delle emissioni stesse.
I gas climalteranti (GHG – GreenHouse Gases) oggetto degli obiettivi di riduzione sono:
- la CO2 (anidride carbonica), prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in tutte le attività energetiche e industriali oltre che nei trasporti;
- il CH4 (metano), prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso;
- l’N2O (protossido di azoto), prodotto nel settore agricolo e nelle industrie chimiche;
- gli HFC (idrofluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
- i PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
- l’SF6 (esafluoruro di zolfo), impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere.
Il Vertice di Johannesburg del 2002
Il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile, o anche WSSD dal suo nome ufficiale in inglese World Summit on Sustainable Development, si è svolto a Johannesburg, Sudafrica, dal 26 agosto al 4 settembre del 2002.
È stato organizzato dalle Nazioni Unite 10 anni dopo il Summit sulla terra di Rio de Janeiro per discutere lo stato di attuazione delle decisioni prese a Rio e per prendere atto di una serie di nuove esperienze e conoscenze sviluppatesi nel frattempo.
Anche per questo la Conferenza di Johannesburg viene anche indicata con il nome di “Rio+10”.
La Conferenza di Rio +20 del 2012
La conferenza, tenuta fra il 13 e il 22 giugno, si tiene in occasione dei 20 anni del Summit della Terra del 1992.
Gli obiettivi della conferenza furono:
- rinnovare l’impegno allo sviluppo sostenibile.
- valutazione delle lacune.
- riconoscere e affrontare le nuove sfide.
La Conferenza si è concentrata su due temi principali:
- “A Green Economy in the context of sustainable development and poverty eradication” (un’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e riduzione della povertà): da intendersi come transizione verso un’economia verde (adattata al contesto nazionale), che non sia solo un miglioramento ambientale, ma un nuovo paradigma che cerchi di alleviare minacce globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la desertificazione, l’esaurimento delle risorse naturali e al tempo stesso promuovere un benessere sociale ed economico.
- “Institutional framework for sustainable development” (quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile): da intendersi come riferimento al sistema di governance globale per lo sviluppo sostenibile, includendo le istituzioni incaricate di sviluppare, monitorare e attuare le politiche di sviluppo sostenibile attraverso i suoi tre pilastri: sociale, ambientale ed economico. A seguito della decisione n° 1 del 26° Governing Council dell’UNEP (Nairobi, 21-24 Febbraio 2011) il tema del quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile include anche il processo di riforma della Governance Internazionale dell’ambiente (IEG).
L’Accordo di Parigi del 2015
Alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale.
L’accordo definisce un piano d’azione globale, inteso a rimettere il mondo sulla buona strada per evitare cambiamenti climatici pericolosi limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC.
I governi hanno concordato di:
- mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine;
- puntare a limitare l’aumento a 1,5°C, dato che ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici;
- fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo al più presto possibile, pur riconoscendo che per i paesi in via di sviluppo occorrerà più tempo
procedere successivamente a rapide riduzioni in conformità con le soluzioni scientifiche più avanzate disponibili.
I principi generali del diritto ambientale
La politica dell’Unione Europea in materia ambientale è fondata sui principi della “precauzione”, dell’ “azione preventiva”, sul principio di “correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente”, nonché sul principio di “chi inquina paga”.
Tale politica ha come obiettivo un elevato livello di tutela, tenendo conto, altresì, delle diversità delle situazioni emergenti nei vari Paesi dell’Unione.
La politica dell’Unione in materia di ambiente si fonda sui principi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento, nonché sul principio «chi inquina paga».
I programmi pluriennali di azione per l’ambiente definiscono il quadro per l’azione futura in tutti gli ambiti della politica ambientale. Essi sono integrati in strategie orizzontali e sono presi in considerazione nell’ambito dei negoziati internazionali in materia di ambiente. Infine, ma non da ultimo, la loro attuazione è di importanza fondamentale.