Un articolo di Alessandro Nicoletti, fondatore di Keep the Planet, sullo sviluppo sostenibile, la sola via che possiamo scegliere se vogliamo evitare il collasso della nostra epoca.
Vista la situazione attuale della società umana, potrebbe sembrare che lo sviluppo sostenibile non sia altro che una bella parola con cui politici e industriali si riempiono la bocca durante i loro discorsi.
Ed effettivamente sembrerebbe proprio così, basta fare un giro al supermercato per capire come il nostro modello di sviluppo sia tutto tranne che sostenibile.
Fragole fuori stagione, frutti esotici, cetrioli avvolti da plastica, carne argentina e prodotti con olio di palma ci ricordano come il nostro stile di vita sia ormai fuori controllo rispetto alla sobrietà con cui si erano abituati i nostri nonni.
E il supermercato è solo uno degli aspetti più visibili del disastro ecologico che stiamo costruendo in questi ultimi decenni. Sono convinto che se non agiamo ora, le conseguenze saranno terribili per noi e per le generazioni future.
Conseguenze che iniziano ad essere visibili con la modificazione delle stagioni, la siccità e le tempeste, e tutti quegli allarmi che sconsideratamente trascuriamo.
Forse c’è ancora una speranza, ma ognuno di noi deve fare la sua parte nel cambiamento.
Cos’è lo sviluppo sostenibile
A livello internazionale, la definizione di sviluppo sostenibile è quella riportata nel Rapporto Brundtland, un documento rilasciato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WECD) nel 1987.
In tale documento, si definisce:
« lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri »
Nella prima parte della definizione, quella dove si indica la soddisfazione dei bisogni della generazione attuale, si include le esigenze di sviluppo economico, mentre nella seconda parte, quella cioè dove si fa riferimento alla necessità di soddisfare i bisogni di generazioni future, si avvia un discorso parallelo sulla necessità di avviare delle pratiche per il consumo responsabile delle risorse non riproducibili.
In questa definizione, universalmente accettata , non si parla direttamente di ambiente in quanto tale, ma piuttosto ci si riferisce al benessere delle persone nel suo complesso; si mette quindi in luce per la prima volta nella storia un principio etico universale come la responsabilità delle generazioni d’oggi nei confronti delle generazioni future.
Per farlo, la società attuale deve, o quanto meno dovrebbe, gestire le risorse in maniera responsabile e consapevole in modo da poterle preservare per il futuro dell’umanità.
La pubblicazione di “Caring for the Earth: A Strategy for Sustainable Living” definita nel 1991 fornisce un ulteriore definizione dello Sviluppo Sostenibile inteso come:
“il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli ecosistemi che ci sostengono”
“Caring for the Earth” fu pubblicato dalla World Conservation Union (IUCN), dal United Nations Environment Programme (UNEP) e dal World Wide Fund for Nature (WWF).
Se la definizione della Commissione di Brundtland si concentrava sul legame fra il soddisfacimento dei bisogni umani e la “responsabilità intergenerazionale”, quella fornita dalla IUCN sottolinea l’importanza del miglioramento della qualità di vita dell’uomo, nel rispetto della capacità di rigenerazione della terra.
Le due definizioni danno assieme una chiara comprensione del concetto di Sviluppo Sostenibile inteso come beneficio per le persone e per gli ecosistemi.
Principio sacrosanto che dovrebbe essere riportato in tutte le costituzioni del mondo, ma che purtroppo rimane ancora un lontano miraggio in quanto vediamo come lo sviluppo economico attuale di sostenibile ha ben poco.
Le tre componenti della sostenibilità ambientale
Per garantire lo sviluppo sostenibile, dobbiamo ruotare intorno a tre componenti fondamentali:
- Sostenibilità economica: intesa come capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione.
- Sostenibilità sociale: intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione, democrazia, partecipazione, giustizia.) equamente distribuite per classi e genere.
- Sostenibilità ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali.
L’economia ha come paradigma la crescita, la stagnazione e il sottosviluppo non sono considerati compatibili con la sopravvivenza dei sistemi economici e con il benessere degli uomini. Nonostante ciò, il paradigma della crescita infinita si scontra con il limite delle risorse naturali e con l’iniqua redistribuzione tra la popolazione.
Le scienze sociali hanno come paradigma l’uguaglianza combattendo contro le iniquità e i conflitti causati dai privilegi e dai differenziali tra sessi, età, gruppi, razze e paesi. Questo purtroppo non avviene quasi mai perché le disuguaglianze sociali sono ormai fuori controllo.
L’ecologia ha come paradigma principale la stabilità (la garanzia della conservazione della sopravvivenza degli ecosistemi).
E’ importante comprendere che l’ambiente pone limiti oggettivi ad alcune attività umane, in alcuni casi questi limiti non possono essere assoggettati alla volontà umana, ma devono essere tenuti in considerazione e rispettati.
E’ infatti di vitale importanza per il benessere umano che l’ambiente continui a fornire risorse, ad assorbire rifiuti e a provvedere alle funzioni di base di supporto della vita.
L’area risultante dall’intersezione delle tre componenti ambientali, sociali ed economiche, coincide idealmente con lo sviluppo sostenibile come indicato dalla figura qui di seguito:
Solo dove le tre componenti si incontrano, troviamo il vero modello di sviluppo sostenibile, concetto che deve rimanere in cima all’agenda politica di qualsiasi ente o istituzione che voglia governare e dirigere le future scelte economiche.
No ci dobbiamo accontentare di sviluppo equo, vivibile o realizzabile, dobbiamo sforzarci a raggiungere l’armonia delle componenti per ottenere finalmente un livello ottimale di utilizzo delle risorse.
Storia dello sviluppo sostenibile
Voglio iniziare questo breve percorso sulla storia dello sviluppo sostenibile con un famoso scritto del grande scienziato Albert Einstein che disse:
Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono delle lievi brezze.
Ed è infatti proprio da una crisi che nacque il concetto di sviluppo sostenibile.
Negli anni 70, a seguito della guerra tra Israele e Palestina, i paesi arabi diminuirono l’esportazione di petrolio verso l’occidente per protestare a favore della causa palestinese.
Durante questo periodo, per la prima volta nella storia, i paesi occidentali iniziarono a pensare ad un modello di sviluppo alternativo alle fonti fossili quali petrolio e gas per ovviare a tale dipendenza.
A seguito del blocco delle esportazioni infatti, molti paesi dovettero affrontare una crisi economica che portò ad una limitazione del consumo di energia e a politiche di austerità mal digerite dall’opinione pubblica.
In questo periodo storico inizia a crescere la consapevolezza che il modello di produzione e consumo delle società industrializzate non poteva essere considerato compatibile con l’ambiente, soprattutto per quanto riguardava lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali.
Consapevolezza che sfocia nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972 dove vengono finalmente descritti concetti fondamentali come:
- proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future;
- le risorse naturali devono essere preservate attraverso un’adeguata pianificazione e gestione;
- bisogna mantenere la capacità della Terra di produrre risorse rinnovabili essenziali;
- la conservazione della natura deve avere un ruolo importante all’interno dei processi legislativi ed economici degli Stati;
- bisogna arrestare le forme di inquinamento che possano danneggiare gli ecosistemi in modo grave o irreversibile;
- i problemi ambientali internazionali dovrebbero essere affrontati in uno spirito di cooperazione da parte di tutti gli Stati, grandi o piccoli, su un piano d’uguaglianza
A seguito della conferenza, nacque l’UNEP (United Nations Environmental Programme) ovvero il programma delle Nazioni Unite sui problemi ambientali con lo scopo di coordinare e promuovere le iniziative ONU relative alle questioni ambientali.
Dalla fine degli anni ’80 e con gli anni ’90 si afferma con sempre maggiore chiarezza una visione che vede l’ambiente, la società e l’economia come dimensioni tra loro strettamente collegate e la cui integrazione è imprescindibile per ogni forma di sviluppo che sia effettivamente sostenibile.
Consapevolezza che viene ricordata nelle successive conferenze internazionali come quella di Rio del 1992 dove vennero firmate due importanti convenzioni, quella riguardante i mutamenti climatici e quella sulla protezione della biodiversità.
Concetti che vennero ripresi e rielaborati al Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile o WSSD di Stoccolma nel 2002 dove viene ribadito l’impegno a promuovere i principi per la sostenibilità redatti a Rio nell’Agenda 21, cioè una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta “da qui al XXI secolo”.
Forze antagoniste allo sviluppo sostenibile
I bei principi e le buone intenzioni enunciati alle varie conferenze mondiali, si vanno poi a scontrare con la realtà della natura umana che è avida e menefreghista.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, non importa se le coltivazioni di palme da olio distruggono le meravigliose foreste primarie del Borneo, non importa se la pesca eccessiva sta svuotando i mari, non importa se gli oceani sono ormai una discarica a cielo aperto, non importa se moltissime specie animali sono sull’orlo dell’estinzione, non importa nulla davanti al mero profitto economico immediato.
E la parte più drammatica di tutto questo è che la maggior parte delle popolazioni non vedranno nulla di questo profitto, profitto che verrà diviso solamente dall’elite al comando di multinazionali senza scrupoli che non guardano in faccia al benessere della società, ma solo della salute finanziaria delle proprie tasche.
In ogni settore economico infatti ci sono le lobby che attivamente contrastano lo sviluppo sostenibile, impedendo di fatto con la loro forza economica ogni speranza di cambiamento.
Nel settore energetico abbiamo la lobby dei petroliferi che impedisce la crescita delle energie rinnovabili, nel settore della pesce le grandi aziende produttrici si disinteressano del collasso degli stock, alle multinazionali dell’olio di palma poco importa della deforestazione, e così via, non c’è settore economico che si salva dalla pressione di questi individui ed enti che di fatto stanno portando il pianeta al collasso per i propri fini personali.
Come fermare la distruzione in atto
Le statistiche parlano chiaro, nella sola Italia un sondaggio ha evidenziato che ben il 90% degli italiani appare consapevole dell’importanza di contribuire allo sviluppo sostenibile dei territori.
E l’82% di loro indica nelle amministrazioni locali, che si collocano al secondo posto dopo il governo, i soggetti chiamati a impegnarsi per raggiungere questo obiettivo.
Ed è proprio dal basso che deve partire il movimento per lo sviluppo economico sostenibile che non è più una scelta, ma un obbligo morale per noi e per le future generazioni.
I danni possono essere contenuti, ma dobbiamo essere noi i primi a chiedere uno sviluppo sostenibile che non si fermi alle belle parole e alle buone intenzioni.
Cosa fare quindi nel concreto?
Io personalmente penso che tutti noi, nessun escluso, sia il responsabile della società perché la società è composta da individui e non da entità astratte.
Tuttavia, quello che vedo è una società degli umani distratta dai temi importanti, siamo distratti da mille notizie che poi si vanno a diluire nel mare dell’informazione che diventa fugace, veloce e superficiale.
Un percorso di cambiamento che deve iniziare innanzitutto dalle nostre azioni quotidiane, azioni che saranno conseguenza di uno studio e di una riflessione sul proprio stile di vita.
Se le persone chiedono, le aziende devono rispondere per rimanere sul mercato. Ma prima di tutto dobbiamo diventare consumatori responsabili e attenti.
Nel concreto, questi ideali si materializzano in azioni come:
- Evitare prodotti extra europei;
- Partecipare a viaggi naturalistici:
- Installare pannelli solari;
- Ridurre il consumo di carne;
- Non sprecare il cibo;
- Riutilizzo delle cose;
- Acquistare l’usato;
- Riparare gli strumenti;
- Comprare prodotti di stagione;
- Raccolta differenziata;
- Recensire online aziende non rispettose dell’ambiente;
- Boicottare le multinazionali;
- Mangiare esclusivamente cibo locale;
- Fare volontariato ambientale.
Questo è solo un piccolo elenco delle cose che puoi fare per contribuire al cambiamento, ma prima di tutto devi essere una persona informata perché è questo il più grande sgarbo che puoi fare a chi distrugge il mondo.
Esempi di sviluppo sostenibile
Guardando la situazione del pianeta, rimane molto facile cadere nello sconforto, i casi dove l’ambiente ha subito danni irreparabili sono infatti molto numerosi.
Ma noi siamo dei sognatori, non vogliamo e non vogliamo rinunciare alla speranza di un mondo migliore, diventa quindi obbligatorio dare il giusto spazio ai casi di successo che accendono un piccolo barlume di speranza.
Ecco allora il caso degli scienziati americani che dalle micro alghe hanno ricavato una specie di petrolio.
Nel 2013 alcune ricerche al Pacific Northwest National Laboratory (PNNL) del DOE hanno infatti scoperto un processo per trasformare una piccola mistura di alghe e acqua in una specie di petrolio greggio in meno di un’ora.
Questo rivoluzionario processo, che replica la trasformazione che avviene naturalmente, produrrà il biocarburante che, a loro avviso, sarà competitivo come costi in un futuro non molto lontano.
Il secondo esempio è l’isola greca di Tilos che ha avviato un piano per dipendere totalmente da energie rinnovabili quali sole e vento.
L’energia solare e quella eolica dovrebbero essere sufficienti ad alimentare l’intero territorio, un piccolo lembo di 63 chilometri quadrati, ma ricchissimo di biodiversità: la quasi totalità della superficie è una riserva naturale, dove vivono 150 specie di uccelli e 650 tipi diversi di piante.
Sull’isola vivono solo 500 abitanti, ma in fondo ogni comunità del mondo non può essere considerata un’isola?
Come non ricordare il boom delle case totalmente autosufficienti, abitazioni che non necessitano di allacci ad energia elettrica e gas perché hanno al loro interno tutte le strutture capaci di produrre quello di cui hanno bisogno.
Un progetto eccezionale, ideato per soddisfare i bisogni abitativi di una famiglia e costruito in modo da essere completamente autosufficiente dal punto di vista energetico e generare un surplus di energia tale da poter ricaricare un’auto elettrica per un anno intero.
Ma se questi esempi non ti bastano, allora voglio concludere stupendoti all’inverosimile, hai mai sentito parlare del Sahara Forest Project?
Tramite l’utilizzo di acqua marina ed energia solare potrà essere possibile rendere più verdi le dune sabbiose delle zone desertiche.
Il progetto prevede la costruzione di serre collegate a tubature atte a pompare acqua marina.
Tramite l’impiego di energia eolica, l’acqua salata viene trasformata in acqua dolce, che va a irrigare le coltivazioni presenti nelle serre.
Un meccanismo in grado di riqualificare completamente le aree interessate, visto che nel frattempo la zona attorno alla sera diventa umida favorendo la crescita di alberi.
Sviluppo sostenibile: considerazioni finali
La società degli umani ha tutte le carte per cambiare le sorti del pianeta, ma questo potrà essere fatto solo se le forze positive nel mondo sconfiggeranno quelle negative.
E se le forze negative le abbiamo individuate – multinazionali senza scrupoli, politici corrotti, lobby menefreghismo, ignoranza- quello che manca è l’individuazione della parte sana dell’umanità che per troppo tempo è ormai caduta in un silenzio tombale.
Mi rendo conto della facilità di cadere nel fatalismo più nero, ma se tu sei qui a leggere questi miei poveri deliri utopistici, significa che credi ancora nella speranza del cambiamento, di una nostra vita in armonia con le meraviglie della natura.
Io non mi arrendo, e tu?
Alessandro
Ps. vieni sul gruppo Facebook Amici di Keep the Planet, ti aspetto.